Raum genug
ist für
alle
E il
giovane fiume fuggiva, ilare e fosco, alla piana
come
il cuore che oppresso dalla sua troppa bellezza,
per trapassare amando
nei
flutti del tempo si scaglia
(Friedrich
Hölderlin, da "Heidelberg", trad. di G. Vigolo)
registrazione itinerante
(Zephir ens.,
voce M.L.Erard)
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Mentre lavoravo a un altro
progetto, durante una pausa di lavoro (una passeggiata
in canoa), mi è venuta la prima idea: il tipo di suono
e di emissione che poi è stato sufficiente per tutto
il pezzo. Si trattava di esplorare l'uso del fiato
lungo tutta la sua durata possibile, in particolare
nei momenti finali, quelli in genere evitati e
inauditi; il suono va tenuto estremamente
piano, ma quando il fiato sta per finire, il flusso
d'aria svolta all'estremo opposto, con un crescendo al
più forte possibile; la musica è definita e
condizionata da parametri fisiologici prima ancora che
acustici, nella ricerca di un ripensamento
dell'interprete che coinvolge tutta la musica (in ciò
posso supporre l'influenza di Dario Buccino, giovane
compositore che ricerca alacremente e rigorosamente in
questa direzione). La disponibilità di uno
spazio articolato in ambienti cosi variabili (lo si può vedere nella pianta
con la distribuzione dei musicisti) si adattava
ottimamente a quest'idea di uso della respirazione:
gli interpreti possono non vedersi, non comunicare, e
soprattutto la dinamica di ciascuno lascia spazio
sufficiente agli altri (il titolo, da Hölderlin, significa _spazio
sufficiente è per tutti_): emergono ora qui ora li
come un'onda sonora, da un piano di cui era difficile
percepire l'origine (gli strumenti a fiato sono ideali
per fare viaggiare il suono attraverso percorsi sempre
vari), fino al crescendo che spinge una massa d'aria
pur senza definire un'origine spazio temporale. Ne
sono risultati percorsi di
suono incredibilmente complessi,
inafferrabili-inestricabili; la quadrifonia, ogni
forma di avvolgimento di un ascoltatore posto in
centro di un unico ambiente, sembra al confronto meno
nuova e al tempo stesso meno naturale, assegnando
all'ascoltatore la centralità di destinatario, che
porta al diseducativo rapporto di musica per un
pubblico (nel caso della quadrifonia si cerca di
animare questo rapporto con il movimento del suono,
prevedendo dei percorsi che risultano percepibili solo
dal centro della sala, mentre dagli altri punti si ha
una percezione "deformata", contraria alle
"intenzioni" del compositore). Nello
spazio espositivo non vi erano posti a sedere, e la
musica invitava a vagare tra le stanze, sia
materialmente sia con tutti i sensori
dell'intelligenza, a mutare prospettive di ascolto:
spero che la naturale curiosità si spinga oltre i
primi passi, in un dinamismo percettivo sempre
irrequieto di modalità di
fare e sentire musica, di sentire e fare spazi, di
capire e fare la storia e il tempo. Ti accorgi che
intorno al punto in cui sei concentrato il suono e la
vita continua, si estende all'aperto. Ti accorgi di
quanto spesso "la" percezione di una musica sia solo
il ripetersi di un'abitudine non necessaria. Queste
alcune delle esperienze tratte, suscitate da "una"
musica che non è né unica né unificabile. Forse sarebbe stato più
coerente con queste premesse lasciare ogni esecutore
sciolto da un tempo esteriore, comune agli altri
interpreti; contro questa soluzione anche più facile
da realizzare ho optato per
la realizzazione di una partitura, da cui ciascuno può
seguire gli altri, con i quali è sincronizzato. Vi è un' "armonia prestabilita",
sulla quale l'interprete influisce variando a ogni
ritornello il registro della nota prescritta,
ottenendo nell_insieme
armonico "rivolti" sempre diversi del contenuto
armonico indicato (la partitura consiste di una strofa
che si ripete otto volte); inoltre i picchi emergenti
dinamicamente dipendono unicamente, come s'è detto, da
quanto è possibile tenere il suono, in totale
indipendenza per ogni interprete dall'andamento della
partitura. A seconda le inclinazioni e i modi di
pensiero, si può consentire o no con questa tendenza
armonizzatrice sincronizzante, forse prudente; io
trovo in questo modo maggior (at-)tensione e articolazione
dialettica tra notazione, tempo esteriore e interiore,
percettivo e fisiologico; a ciascuno è garantito uno
spazio, sia pur piccolo, maggiore che non nella
libertà "assoluta" o supposta tale. La partitura è lo
strato di base, una sorta di canovaccio astratto, su
cui gli interpreti operano delle variazioni
fisiologiche, e gli ascoltatori a loro volta
partecipano attivamente con i loro spostamenti che
creano per ciascuno un unico spaccato, una diversa
passeggiata dentro lo spazio così variamente
sonorizzato, lungo la partitura. Il pezzo è stato creato in
stretta collaborazione con gli interpreti, membri
dello Zephir ensemble, Marie-Luce Erard, Eva Geraci, Dario
Compagna, Antonello Lo Presti, Giovanni Guttilla, Benedetto Modica,
Francesco Mercurio, Alessandro Palmeri
e Fulvia Ricevuto, che hanno partecipato dandomi
innumerevoli consigli, idee, quasi anticipando le mie
proposte; data la struttura
del pezzo, il loro direttore (e creatore del gruppo)
si è preso un'opportuna vacanza, e mi fa onore che
alle passeggiate in montagna abbia preferito le
passeggiate nella mia musica; a lui e a tutti i membri
dello Zephir è dedicato il pezzo. |
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